Gli uomini neri del Rodano

… chissà se pensano alle donne che non hanno, che hanno lasciato o che non hanno mai avuto, puntando lo sguardo al di là del fiume, al di là della città, perfino al di là delle Alpi. Verso il continente dal quale sono fuggiti. Ai piedi della scogliera, in fondo al Sentier Sous-Terre che porta al Rodano, su una piazzola accanto all’ex priorato di Saint-Jean, in estate, sono tanti a  ritrovarsi lì. Nigeriani o Camerunesi clandestini. Sempre altri, sempre gli stessi. Perché su quella piazzola c’è una fontana, delle panchine, un tavolo, delle toilette, una doccia esterna dove insaponare la pelle nera dei loro corpi muscolosi, perché non ammirarli, siepi dove appendere il bucato, alberi dietro ai quali sparire, ma dov’è che passano le notti, spesso li trovi ancora lì, svegli, alle prime luci dell’alba. Accanto a loro, un parco giochi, a volte i genitori riconquistano le panchine e il tavolo per organizzare picnic e grigliate. Gli Africani tentano di abbordare le donne, hello, bonjour, how are you, ça va, a volte ricevono una risposta, forse un giorno una di loro, più matura, ne sceglierà uno per ingannare la solitudine, sono solidi e disponibili. Altrimenti se ne stanno tra di loro a fumare, parlare, ridere, a volte si lanciano provocazioni, probabilmente spacciano, non li vedi mai scendere fino al pontile del fiume, territorio di bagnanti e festaioli fino alle ore piccole. Eppure, ogni estate, ce n’è qualcuno che muore affogato. Per non aver resistito alla tentazione di immergersi in quelle acque traditrici, pure non sapendo nuotare. Per essersi volontariamente tuffati dal Pont Sous-Terre, pure sapendo che sarebbero trasportati dalla corrente. Loro che sono sopravvissuti al Mediterraneo, a volte, trovano la morte nel Rodano.

Ginevra, agosto 2017

Traduzione di Daniela Almansi